Alberto Manzi è un ragazzo di vent’anni, quando decide di fare il maestro. Sono i giorni concitati della ricostruzione e ognuno ha la propria ricetta per tornare a dare dignità al nostro paese. Per Alberto l’Italia si cambia cominciando dai ragazzi, educandoli a essere liberi. Ma per lui, aspirante maestro senza raccomandazioni, in quell’autunno del 1946, non ci sono cattedre disponibili. Tranne quella carcere minorile di Roma “Aristide Gabelli”.
Giorno dopo giorno Alberto sfida l’ostilità dei suoi alunni e la rassegnazione del direttore. La pedagogia diventa una materia viva che si improvvisa ogni giorno.
E in questo maestro generoso e irriverente, prima senza ammetterlo, poi sempre più apertamente, i ragazzi cominciano a riconoscersi.
Poi la storia di Manzi, incontra la televisione. È il 1960. La guerra è alle spalle, ma l’Italia è ancora un paese diviso, chiuso nei suoi dialetti, con quattro milioni di analfabeti adulti sulle spalle. Manzi ha ormai lasciato il carcere minorile e insegna in una scuola “normale”.
Vede intorno a sé una scuola arretrata, demotivata, inadeguata. E fa di tutto per cambiarla.
In quel periodo la Rai decide di provare a farsi carico di quella massa di adulti che sa a malapena scrivere il proprio nome. Resta un dettaglio: per insegnare, anche in tv, ci vuole un maestro. Così Alberto incomincia ad insegnare in tv, e lo fa subito a modo suo.
Manzi continua ad insegnare a scuola la mattina e a fare il maestro in TV la sera. E così, insieme ai suoi bambini di quinta, porta alla licenza elementare anche un pezzo d’Italia. Comincia così un’esperienza rivoluzionaria che ci verrà copiata da altri 72 paesi. In tutta Italia si creano duemila “punti d’ascolto”: nei bar, nei circoli, nelle sale municipali e parrocchiali… Il risultato ha del miracoloso: in otto anni, un milione e mezzo di persone impara a leggere e scrivere grazie alle appassionate lezioni del maestro Manzi.